I COSSIERS DI MONTUÏRI DANZANO IN ONORE DI SAN BARTOLOMEO

IL RITO SI È TRASFORMATO IN UNA DANZA

Le Feste de Sant Bartomeu sono uno degli eventi estivi più tradizionali di Maiorca da non perdere. Montuïri, Consell e Sóller sono alcuni dei comuni che celebrano questa festa. Tuttavia, tra tutti gli elementi che caratterizzano queste feste estive, i più significativi sono senza dubbio i Cossiers de Montuïri.

ESTATE DOPO ESTATE, I COSSIERS DI MONTUÏRI, DOCUMENTATI DAL 1821, DANZANO UNA DANZA COLLETTIVA, RITMATA ED ENTUSIASTA, PIENA DI COLORE E SENSUALITÀ

Estate dopo estate, i Cossiers, documentati dal 1821, danzano una danza collettiva, ritmata ed entusiasta, piena di colore e sensualità, attraverso la quale riempiono le vie del comune. La danza, eseguita solo tre volte all’anno, simboleggia la vittoria del bene sul male. La protagonista è una donna, simbolo di femminilità e fertilità, alla quale gli uomini rendono omaggio. Detta donna sarà colei che sconfiggerà la figura del Diavolo, incorporata successivamente e con connotazioni cristiane.

I Cossiers de Montuïri sono stati premiati nel 2012 con il Ramon Llull Award per essere rimasti fedeli allo spirito della celebrazione, essendo l’unico gruppo dell’isola che è rimasto ininterrotto nel corso della sua storia.

I COSSIERS BALLANO DIECI BALLI DIVERSI E ESCONO TRE GIORNI ALL’ANNO: PER NOSTRA SIGNORA D’AGOSTO, IL 15; IL SABATO DI SAN BARTOLOMEO, 23 AGOSTO, E IL GIORNO DI SAN BARTOLOMEO, PATRONO DEL PAESE, IL 24 AGOSTO

I Cossiers di Montuïri ballano dieci balli diversi e escono tre giorni all’anno: per Nostra Signora d’Agosto, il 15; il sabato di San Bartolomeo, 23 agosto, e il giorno di San Bartolomeo, patrono del paese, il 24 agosto. Senza dubbio, questa è la località dove queste danze rituali sono rimaste più radicate. Se ne vanno accompagnati da un demone, che in questo caso si chiama Corno Verde.

Se ne vanno accompagnati da un demone, che in questo caso si chiama Corno Verde.

CORNAMUSE E DEMONI, LE DANZE COSSIER

I danzatori dai cappelli di paglia proteggono la bella dalle manacce come se fosse la pupilla dei loro occhi, volteggiando e cercando di tenere lontane da lei le seduzioni demoniache. Altri uomini nei pressi danno loro manforte e agitano le strisce di tessuto colorato, che hanno una funzione difensiva, per proteggere la «dama» (in realtà un giovane in abiti femminili, anche se questo fatto sta già cambiando e molte donne stanno già ballando come «dama»). Il dramma danzato si svolge dentro e davanti alla chiesa: passo dopo passo, tutto il gruppo si muove fino all’altare, ma il danzatore travestito da demone cerca di impedire alla dama di raggiungere il luogo sacro.

IL BENE HA LA MEGLIO SUL MALE, LA LUCE VINCE LE TENEBRE

Accompagnati da flauti, xeremies -le zampogne maiorchine- e tamburelli, i danzatori continuano a difendere la virtù della donna e le aprono la strada. La danza ha un lieto fine alla maiorchina: il bene ha la meglio sul male, la luce vince le tenebre.

Questa danza, chiamata cossier, si svolge perlopiù davanti a una chiesa o dentro, e proprio ad Algaida e nei suoi dintorni la tradizione della danza cossier è ancora molto viva. Per la verità questa tradizione è rispettata anche il altre località, come per esempio a Montuïri, Porreras, Sóller e Pollensa. Vale la pena menzionare anche I Cossiers dell’Escola de Música i Dances de Mallorca, che da anni ballano il Corpus Christi e La Colcada o Festa de l’Estendard, ogni 31 di dicembre.

L’ESCOLA DE MUSICA I DANCES DE MALLORCA, IL NUOVO PUNTO DI RIFERIMENTO

Nel 1975 è stata fondata l’Escola de Música i Dances de Mallorca da Bartolomé Enseñat i Estrany. Ha come scopi studiare, documentare, insegnare, diffondere e promuovere gli elementi della cultura popolare e tradizionale di Maiorca, in particolare la danza, la musica, gli strumenti e l’abbigliamento.

Nel 2015 le è stata assegnata la Medaglia d’Oro del Consell de Mallorca.

In altre località, come Alaró, questa danza rimase quasi nell’oblio per oltre settant’anni e venne ripresa solo negli anni Novanta del XX secolo, il merito incontrastato va allo scienziato Francesc Vallcaneras dell’Escola de Música i Dances de Mallorca.

ELS COSSIERS D’ALARÓ, APROXIMACIÓ AL FET DELS COSSIERS DE MALLORCA

Merita di essere sottolineato il lavoro svolto da Vallcaneras Jaume, che si riflette nel suo libro «Els Cossiers d’Alaró» per recuperare la danza dei Cossiers, dopo la sua scomparsa nel 1939.

La dedica del libro è abbastanza eloquente «A tots els que han estat, o seran, Cossiers a Alaró»/A Tutti coloro che sono stati, o saranno, Cossiers ad Alaró.

Come dice l’autore nell’introduzione del libro «L’unico motivo che mi spinge a presentare questo lavoro è quello di contribuire con il mio modesto lavoro al compito obbligato di recuperare Il Ball de Cossiers a Alaró»

I Cossiers d’Alaró ballarono nuovamente in occasione dei festeggiamento di San Roc nel 1992

I Cossiers d’Alaró escono solo un giorno all’anno, per Sant Roc, il 16 agosto. Si sono ripresi nel 1992, rappresentano due danze diverse e sono accompagnati da diavoli.

CONSIDERARE

I Cossiers di Algaida escono due volte l’anno: la prima, il giorno del loro santo patrono, Sant’Onorato, il 16 gennaio, e la seconda, il giorno di San Giacomo, il 25 luglio. Dal 1965 al 1972 il ballo ha cessato di essere qualcosa di popolare per diventare un’attrazione turistica. Il repertorio delle danze è piuttosto vasto e, come i costumi, mantiene molte somiglianze con quello dei Cossiers de Montuïri.

I Cossiers di Manacor si sono ripresi nel 1981, e, attualmente, il giorno di partenza varia a seconda delle date della festa di Sant Crist della Chiesa Addolorata (è sempre domenica) e della proclamazione delle Fiere e delle Feste di Primavera (è sempre Venerdì). Rappresentano cinque danze diverse, sono accompagnate da demoni e il loro abbigliamento è uno dei più singolari. Si distingue dal resto dei gruppi per la conservazione dei broquers, una danza che deriva dai balli di bastoncini che vengono eseguiti in tutta Europa.

I Cossiers di Montuïri ballano dieci balli diversi e escono tre giorni all’anno: per Nostra Signora d’Agosto, il 15; il sabato di San Bartolomeo, 23 agosto, e il giorno di San Bartolomeo, patrono del paese, il 24 agosto. Senza dubbio, questa è la località dove queste danze rituali sono rimaste più radicate. Se ne vanno accompagnati da un demone, che in questo caso si chiama Corno Verde.

I Cossiers di Pollença sono stati recuperati nel 1981 e attualmente escono a ballare il giorno della loro patrona, Nostra Signora degli Angeli, il 2 agosto. Contrariamente a quanto accade in altri paesi, il gruppo è composto da dodici cossiers e una signora. Non sono accompagnati da demoni e rappresentano quattro diversi tipi di danze.

I Cossiers dell’Escola de Música i Dances de Mallorca ballano due volte l’anno:il Corpus Christi e La Colcada o Festa de l’Estendard, ogni 31 di dicembre.

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Llompart Moragues, Gabriel. «Els Cossiers de Mallorca». Boletín de la Cámara Oficial de Comercio, Industria y Navegación de Palma, núm. 653 (1996).

Vallcaneras Jaume, Francesc. Els Cossiers d’Alaró. Aproximació al fet dels Cossiers de Mallorca. Alaró: Ajuntament d’Alaró, 1990.

Maiorca, Vita e Cultura di un’isola.

Torres Josep, Un po`di qua e un po’ di la´

 

ADDIO A RENATA SCOTTO, IL GRANDE SOPRANO ITALIANA

L’ULTIMA GRANDE DIVA DELL’OPERA

È morta la soprano Renata Scotto, una delle voci più importanti d’Italia: se ne è andata giovedì nella sua casa di New York. Renata Scotto aveva 89 anni.

Aveva debuttato a 19 anni come Violetta nella Traviata

Nata nel 1934 nella città di Savona, nel nord Italia, ha ricevuto lì le sue prime lezioni di canto, che ha iniziato all’età di 14 anni. Due anni dopo si trasferisce a Milano per proseguire gli studi. Debuttò nel 1952, al Teatro Chiabrera della sua città natale, nel ruolo di Violeta ne ‘La Traviata’ di Verdi. Solo un anno dopo canta alla Scala di Milano al fianco di Renata Tebaldi e Mario Del Monaco nel cast de ‘La Wally’ di Catalani. La sua insegnante di spagnolo, Mercedes Llopart, fu fondamentale per la carriera di Scotto, che trionfò sui grandi palcoscenici operistici mondiali, dal Bolshoi di Mosca alla Royal Opera House di Londra, dove debuttò nel 1960, al Metropolitan Opera House di New York. , dove si esibì come Madama Butterfly nel 1965. Fu lo spagnolo Alfredo Kraus a consigliare a Scotto di andare a Llopart quando la vertigine del successo portò il soprano ad una grave crisi vocale e personale. Rafforzata, torna sul palcoscenico e si esibisce alla Fenice, allo Stoll Theatre di Londra e al Festival di Edimburgo tra il 1956 e il 1957. A Edimburgo, sostituisce Maria Callas nel ruolo di Amina ne ‘La sonnambula’, ruolo che consolida il panorama italiano cantante come uno dei migliori interpreti del repertorio bel cantístico. Tra i suoi ruoli più ricordati, l’indimenticabile Cio-Cio-San in ‘Madama Butterfly’; Mimi in ‘La bohème’ o Lucia in ‘Lucia di Lammermoor’. Con Plácido Domingo il soprano canterà nel 1988 al Liceo di Barcellona e un anno dopo alla Zarzuela di Madrid l’opera ‘Fedora’, di Giordano. Domingo l’ha salutata così sui suoi social: «Con il cuore spezzato per la morte di Renata Scotto, una delle più grandi cantanti della storia, insegnante dedicata ai giovani cantanti, e per me, personalmente, una delle mie compagne di scena … più frequenti, con più di cento recite insieme nel corso della nostra carriera».

Dal 1997 Scotto è stato membro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Negli ultimi anni ha vissuto negli Stati Uniti, dove dopo aver lasciato il palcoscenico si è dedicato alla direzione d’opera e all’insegnamento alla Juillard School of Music di New York e alla Yale University. Nel 2017 Scotto ha tenuto per la prima volta in Spagna un corso di interpretazione vocale organizzato da Amigos de la Ópera de La Coruña.

IL LEGGENDARIO SOPRANO ITALIANA È STATA FONDAMENTALE PER LA LIRICA NEL 20º SECOLO E SI È DEDICATA ALL’INSEGNAMENTO DOPO AVER LASCIATO IL PALCOSCENICO

Le cronache ricordano che la sua carriera prese il largo a Edimburgo quando, con le maestranze della Scala, sostituì la Callas in una serie di acclamate recite della belliniana «Sonnambula». Fin dall’inizio la sua fu dunque una carriera internazionale che la faceva essere di casa a Londra, New York, Vienna, Berlino come nelle altre piazze che contano, insieme con i massimi cantanti del suo tempo a partire da Luciano Pavarotti. Ma il suo punto di riferimento è stata la Scala, dove era amatissima e dove tornava con svizzera puntualità.

Ampio il repertorio e il lascito discografico. Difficile suggerire un solo ascolto a chi volesse farsi un’idea di chi è stata Renata Scotto. Andando a istinto si potrebbe dire le pucciniane Cio-Cio-San e Liù e la donizettiana Lucia. Ma come lasciar fuori la sua Violetta, memorabile sia nelle acrobazie del primo, sia nella drammaticità del secondo, sia nel lirismo del terzo atto.

I FICHI D’INDIA, UN FRUTTO ARRIVATO DALL’AMERICA

I MAIORCHINI BATTEZZARONO I FRUTTI SPINOSI CON IL NOME DI FIGUES DE MORO

LA FIGA DE MORO VENIVA GIÀ CONSUMATA 9.000 ANNI FA IN MESSICO

Alla fine del mese di agosto è solito di vedere nelle siepe e negli angoli di frutteti e proprietà di Maiorca come i fichi d’india irrompono in frutti che, nonostante un involucro spinoso e difficile, offrono al loro interno una polpa gustosa, dolce e mielata che fa le delizie di chi -anche una sola volta nella vita- si sia avventurato a assaggiarla.

Il fico moro, pur essendo un frutto molto conosciuto in casa nostra, non ha raggiunto la diffusione che altri frutti «tropicali».

I MAI0RCHINI BATTEZZARONO I FRUTTI SPINOSO COL NOME DI FIGUES DE MORO, «FICHI DEI MORI» MENTRE I MORI LI CHIAMARONO «FICHI DEI CRISTIANI»

Le navi de conquistatori di ritorno dal Nuovo Mondo devono essere sembrate orti e frutteti galleggianti agli spagnoli. Accanto alle molte piante, ormai diventate insostituibili sulle nostre tavole quotidiane, le imbarcazione trasportavano anche un tipo di arbusto coriaceo che dava però frutti prelibati: il fico d’India.

I maiorchini battezzarono i frutti spinosi col nome di figues de moro, «fichi dei mori», mentre i mori li chiamarono «fichi dei cristiani». Ancora oggi la pianta è apprezzata come ornamento e viene collocata come siepe difensiva intorno ai terreni, per tenere lontani intrusi umani e animale indesiderati.

Le foglie rigogliose, sempre rivolte verso il sole, ricordano per la loro forma le orecchie degli elefanti, sollevate quando sono in ascolto. A Maiorca l’attività non assunse mai dimensioni industriali, anche perché la concorrenza delle Canarie, dell’Algeria e del Sudamerica era tropo forte.

Si conoscono due varietà di fico d’India: accanto a quello più comune, ritenuto l’originale e denominato Opuntia ficus barbarica con le spine chiare e corte, esiste la Opuntia dilleni, riconoscibile per le spine lunghe fino a sette centimetri e i fiori giallo limone.

I frutti spinoso vengono spesso raccolti ancora acerbi con un’apposita pinza di legno.

I fichi d’India hanno una polpa di colore arancio o rossa dal sapore piacevole e leggermente asprigno e vengono consumati crudi nel periodo di maturazione. Sono molto usati per la preparazione di confetture. Quando il frutto viene servito crudo, si possono mangiare anche i numerosi semi.

Per gustare la polpa succosa e simile a quella del fico, bisogna spellare il frutto partendo dall’alto e facendo molta attenzione alle centinaia di minuscole spine quasi invisibili dotate di pericolosi uncini che possono conficcarsi facilmente sulla lingua e annidarsi pelle per giorni. La cosa migliore è acquistare frutti già pronti per il consumo d’estate al mercato o nei chioschi per la strade e gustarli direttamente.

Ma il migliore, regalato da un amico e già sbucciato. Sono i migliori.

SORBET DE FIGUES DE MORO / SORBETTO AI FICHI D’INDIA

ingredienti:

500 g di fichi d’India mondati

30 g di zucchero

3-4 cucchiai di succo di limone spumante

Sbucciare i fichi d’India attentamente per evitare le spine.

Frullare tutti gli ingredienti e passarli al setaccio.Versare il composto nella gelatiera o in un contenitore da freezer e lasciarlo indurire 15 minuti prima di servirlo, estrarre il sorbetto dal freezer perché si ammorbidisca.

A Minorca non fanno il gelato ai fichi, ma fanno una bevanda molto interessante, chiamata Arrop de figues de moro.

Per ogni chilo di fichi sbucciati, mezzo litro di acqua minerale o di rubinetto.

MAIORCA Vita e cultura di un’isola

Beppe, il cuoco

EL FERRAGOSTO PIÙ CALDO DELLA STORIA

NE PARLIAMO A SETTEMBRE

Il Ferragosto è la festa più attesa dellestate: ha origini nella storia dell’Antica Roma, poi intrecciate con la tradizione cattolica. Il nome della festa di Ferragosto deriva dal latino feriae Augusti (riposo di Augusto), in onore di Ottaviano Augusto, primo imperatore romano, da cui prende il nome il mese di agosto.

Molte persone sono in vacanza e anche se il mare, la spiaggia e la montagna possono rendere più sopportabili le alte temperature. Tutti ricorderanno il Ferragosto di quest’anno 2023.

NE PARLIAMO A SETTEMBRE

Una tipica frase italiana in questo periodo estivo è NE PARLIAMO A SETTEMBRE.

Bene, continuiamo ad approfittare giorni de vacanze e di lavoro parleremo a settembre.

Ma tra un giorno e l’altro Beppe il cuoco sta lavorando nel prossimo incontro di cucina sotto il titolo «Cucina Siciliana».

La Sicilia terra di sole, di mare e tesori della storia dell’arte. La sua unicità risiede anche nelle specialità tipiche, imperdibili in un viaggio attraverso le provincie di questa favolosa isola: gli arancini di Palermo, i cannoli siciliani gustati in una pasticceria catanese o un buon piatto di pasta condita con pesto alla trapanese. Un percorso enogastronomico che non ha eguali e vi farà desiderare di rimanere più a lungo possibile in questa magica terra. Vogliamo allora portare un po’ di quella atmosfera sulle vostre tavole, preparando insieme a noi le specialità siciliane più amate, le ricette più famose e saporite, dolci e tradizionali. Le ricette che ogni siciliano custodisce e che ci permette di scoprire un po di più ogni giorno dovrebbero essere un vero e proprio patrimonio dell’umanità! Ed è proprio a ricette come queste che non si dovrebbe mai rinunciare! 

Una cucina ricca, stratificata, dai sapori tipicamente mediterranei: parliamo della cucina siciliana, una delle cucine regionali più apprezzate e celebri. Una delle caratteristiche delle ricette siciliane è quella di essere molto varie: ogni città spicca per delle pietanze ormai diventate dei capisaldi della cucina tradizionale dell’isola e, molte pietanze in comune vengono realizzate con ingredienti che cambiano di provincia in provincia, ma spesso anche di comune in comune.

La cucina siciliana, infatti, è ricca anche grazie alle molte dominazioni che questo territorio ha subito e spesso accolto: si possono chiaramente ritrovare influenze della tradizione nordafricana, come nel caso del cous cous, ma anche influenze della cucina araba e greca, fino i lasciti della cucina normanno – francofona e di quella ispanica. Tra le ricette più popolari non mancano i primi piatti come la pasta alla Norma, tipica della cucina catanese, lo street food rappresentato dagli arancini palermitani, i secondi piatti come gli involtini di pesce spada, che si preparano un po’ in tutta l’isola con ingredienti diversi, o i famosi dolci a base di ricotta come i cannoli siciliani o la cassata.

Se ami le focacce puoi provare diversi specialità come lo sfincione palermitano, o la versione bagherese, o la ravazzata, altra ricetta tipica del Capoluogo. Tantissimi i primi piatti golosi, oltre alla citata Norma, come le busiate alla trapanese, la pasta con le sarde o i celebri anelletti al forno, perfetti anche per un picnic.

Ottima la ricetta della caponata, anche in questo caso un piatto tipico siciliano fatto in mille versioni diverse, spesso anche con il pesce (la ricetta originale, infatti, prevedeva il capone appunto, ossia la lampuga). Anche le sarde a beccafico sono una ricetta molto famosa e cucinata in mille modi diversi: noi ti proponiamo la versione fritta alla catanese.

Nell’elenco dei piatti siciliani una buona parte è occupata dai dolci: oltre a torte, cassate e monoporzioni, ti suggeriamo di provare anche la ricetta della granita, che deriva dalla cucina greca, con la sua immancabile compagna brioches con il tuppo. Ti resta solo che scegliere fra questa selezione di ricette siciliane semplici e golose la tua preferita e cucinarla per chi ami di più.

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La caponata è uno dei piatti simbolo della cucina siciliana, un saporito contorno che ha per protagoniste le melanzane, da sempre utilizzate nella tradizione regionale. Rigorosamente fritte, nella versione classica le melanzane si uniscono a cipolla, sedano, pomodoro, olive verdi e capperi. Ciò che rende questa specialità tanto irresistibile è però il tipico e inconfondibile gusto agrodolce, ottenuto ripassando le verdure in padella con una miscela di aceto di vino bianco e zucchero.

Il pesto alla trapanese è una ricetta tipica della Sicilia occidentale. Il pesto alla trapanese è una ricetta antica che ha origine nei porti trapanesi.
A Trapani si fermavano infatti le navi genovesi provenienti dall’Oriente e ovviamente i marinai genovesi fecero conoscere il pesto ai siciliani.
I trapanesi modificarono la ricetta del pesto aggiungendo gli ingredienti tipici del loro territorio.
Ecco così spiegata l’aggiunta delle mandorle e dei pomodori freschi. Il pesto alla trapanese si sposa bene con tutti i tipi di paste, ed ha un sapore delicato e molto aromatico.
Come vuole la tradizione, tutti gli ingredienti del pesto dovrebbero essere pestati in un mortaio, ma se non lo possedete andrà benissimo anche un mixer.
Il pesto alla trapanese è ottimo usato sia per la pasta servita calda che fredda.

Gli arancini di riso (o arancine), vanto della cucina siciliana, sono dei piccoli timballi adatti ad essere consumati sia come spuntino che come antipasto, primo piatto o addirittura piatto unico. In Sicilia si trovano ovunque e in ogni momento, sempre caldi e fragranti nelle molte friggitorie, insieme a cazzilli e panelle: di città in città spesso cambiano forma e dimensioni, assumendo fattezze ovali, a pera o rotonde, a seconda del ripieno. Si possono contare circa 100 varianti: dalla più classica al ragù e al prosciutto, a quelle più originali come gli arancini di spaghetti, gli arancini al pistacchio, gli arancini agli spinaci e gli arancini con ragù e fagioli oppure addirittura gli arancini al forno! Persino nella cucina campana c’è una versione molto simile conosciuta come «palle di riso» e che si abbina sempre agli altri fritti tipici, comprese le frittelle di sciurilli.
Noi oggi vi presentiamo le due classiche intramontabili, al ragù di carne di maiale e piselli e al prosciutto e mozzarella.

Se vi state rilassando sotto il sole cocente ma volete rinfrescarvi un po’, troverete come la tradizione culinaria e dolciaria siciliana offra un’infinità di prelibatezze a base di prodotti locali. Basterà raggiungere uno dei tanti chioschetti e bar del lungomare specializzati nelle granite! Dopo quella al limone, la Sicilia infatti è famosissima per la prelibata granita alla mandorla! Originaria del siracusano, zona molto ricca di alberi di mandorlo, la granita alla mandorla è favolosa da assaporare da sola o come ripieno di una soffice brioche. Questa granita rimarrà nei vostri ricordi anche al ritorno dalle vacanze! Per chi deve ancora attendere le tanto agognate ferie estive, vi proponiamo la nostra versione home made: abbandonatevi al piacere di questi deliziosi fiocchi di ghiaccio per portare la Sicilia a casa vostra!

CUCINA IN PREPARAZIONE:

Pesto alla trapanese

Caponata

Arancine

Pasta alla Norma

Pasta con le sarde e finocchietto selvatico

Granita alla mandorla

Buona estate e A Presto !!!

UNA DI LUNA, UN PICCOLO BRANO PER L’ESTATE

ANDREA DE CARLO, UN GRANDE VIAGGIATORE, SCRITTORE ED ASSISTENTE ALLA REGIA DI FEDERICO FELLINI

Margherita Malventi si dedica a una cucina intima e riflessiva nel suo piccolo ristorante a Venezia, nel sestiere di Castello, ed è convinta che la luna le abbia salvato la vita più di una volta. Suo padre si chiama Achille, ha ottantasette anni, è alto un metro e cinquantaquattro, ed è stato uno dei più rinomati chef della città lagunare, finché non ha perso tutto a causa delle sue manie di grandezza. È un uomo rabbioso, in guerra contro il mondo, ma l’invito a partecipare come ospite d’onore a Chef Test, popolarissimo programma televisivo di cucina, sembra offrirgli la possibilità di una rivalsa pubblica. Margherita decide di accompagnarlo a Milano, dove il programma viene registrato, con la speranza assai poco realistica che il viaggio possa dischiudere tra loro una comunicazione che non c’è mai stata.

BRANO DI LETTURA

Il brano scelto per questo mese è estratto da Una di luna, il ventesimo romanzo di Andrea De Carlo. Questa storia comincia davanti la stazione di Venezia Santa Lucia e parla di Achille, ristoratore del sestiere di Castello, e Margherita, la figlia, che partono per Milano per vivere una nuova avventura, tra cucina, relazioni familiari e magia lunare.

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Dopo almeno un quarto d’ora che aspettavo sempre più nervosa sulla riva di pietra d’Istria smussata bianco-gialla subito a sinistra della fermata Ferrovia, la barca verde dei miei con mia madre al timone e mio padre seduto sulla panchetta centrale è finalmente arrivata, attraverso il traffico di vaporetti e barche cariche di scatoloni e fusti di birra e cemento e spazzatura, nell’acqua smossa color giada.
Mia madre ha tolto il gas a cinque o sei metri dalla riva e, anche se la sua espressione era vaga come sempre, ha fatto filare con precisione la barca tra i pali di legno*. Mio padre è subito saltato in piedi, a gambe larghe per compensare l’ondeggiamento, si è aggiustato il cappotto blu, la sciarpa bianca. È alto un metro e cinquantaquattro, un uomo incredibilmente ostinato. Ha ottantasette anni, abruzzese di Pescocostanzo arrivato a Venezia sessant’anni fa, magro come uno stecco, capelli bianchi folti e dritti sulla testa, sopracciglia cespugliose bianche anche quelle, naso a becco che mentre crescevo ho sperato intensamente di non ereditare; pallido perché non gli piace l’aria aperta, pelle quasi trasparente alle tempie, occhi azzurri molto rapidi. Si chiama Achille. […]
“Siamo in ritardo” ho detto, nel tono più calmo che mi veniva. Ho preso la cima che mi ha lanciato mia madre, l’ho tirata per avvicinare la prua alla riva. […] “Grazie tante, Margherita, lo so bene che siamo in ritardo!” ha detto mio padre. Ha una vera ossessione per la puntualità: se deve andare a un appuntamento con i suoi mezzi arriva in anticipo, se è lui ad aspettarti lo trovi innervosito anche quando sei in perfetto orario. Si è chinato a prendere la valigia, un po’ a fatica. Non gli piacciono quelle con le ruote, dice che sono da vigliacchi, e che oltretutto trolley non è un nome italiano, così ne usa una senza, anche se gli spezza le braccia. […]
Ho tirato ancora la cima, ho messo un piede sulla prua per facilitare la discesa. Anche a me essere in ritardo mette in uno stato di agitazione estrema: è una cosa che ho ereditato da lui, tra le tante. Però sono stata zitta, perché con lui una parola sbagliata può fare danni; mi muovo sempre sui gusci d’uovo, con mio padre.
Mia madre si è girata a guardare il traffico nel canale, si è girata a guardare mio padre. Alta, elegante, vaga: è più giovane di lui di ventitré anni, veneziana come me (più di me). Porta ancora i capelli tagliati à la garçonne come quando ero bambina, forse uno dei motivi per cui me li sono fatta crescere lunghi appena ho potuto. Non sembra particolarmente italiana, con quelle proporzioni allungate, quell’ovale del viso, quell’incarnato diafano, quel taglio leggermente obliquo degli occhi.

  • pietra d’Istria: pietra di colore avorio proveniente dalla penisola croata
  • smussata: resa meno spigolosa e tagliente
  • timone: organo di governo di una barca
  • spazzatura: rifiuti, immondizia
  • *sapevi che i pali di legno per indicare la via d’acqua e per ormeggiare le barche in laguna si chiamano bricole?
  • ostinato: testardo
  • stecco: ramoscello, si dice per parlare di una persona molto magra
  • a becco: naso simile al becco degli uccelli, con una grande gobba e la punta rivolta verso il basso
  • cima: corda della barca
  • prua: è la parte anteriore, “davanti”, della barca; la parte posteriore (o “dietro” si chiama poppa
  • chinato: piegato verso il basso
  • vigliacchi: codardi, senza coraggio
  • gusci d’uovo: muoversi sui gusci d’uovo significa relazionarsi con una persona in maniera prudente, attenta e misurata
  • incarnato diafano: espressione del viso sottile, delicata, angelica.

ANDREA DE CARLO

Andrea De Carlo è nato a Milano, dove si è laureato in Storia contemporanea. Ha vissuto negli Stati Uniti e in Australia, dedicandosi alla musica e alla fotografia. È stato assistente alla regia di Federico Fellini, co-sceneggiatore con Michelangelo Antonioni, e regista del cortometraggio Le facce di Fellini e del film Treno di panna. Ha scritto con Ludovico Einaudi i balletti Time Out e Salgari. Ha registrato i CD di sue musiche Alcuni nomi e Dentro Giro di vento. È autore di ventidue romanzi, tradotti in ventisei Paesi e venduti in milioni di copie.

PRINCIPALI LIBRI DELL’AUTORE

  • Treno di panna (1981)
  • Uccelli da gabbia e da voliera (1982)
  • Macno (1984)
  • Yucatán (1986)
  • Due di due (1989)
  • Tecniche di seduzione (1991)
  • Arcodamore (1993)
  • Uto (1995)
  • Di noi tre (1997)
  • Nel momento (1999)
  • Pura vita (2001)
  • I veri nomi (2002)
  • Giro di vento (2004)
  • Mare delle verità (2006)
  • Durante (2008)
  • «L’imperfetta meraviglia» (2016)
  • Una di Luna (2018)
  • Villa Metaphora (2019)
  • Il Teatro dei sogni (2020)

Per la prima volta tradotti in Italia la serie sull’Ispettore Celso Mosqueiro

UNA DELLE SAGHE PIÙ FAMOSE DELLA LETTERATURA CATALANA, VERO E PROPRIO CAPOSALDO DELLA NARRATIVA NOIR

POCHI MESI FA È VENUTO A MANCARE L’AUTORE E IL CREATORE DEL PERSONAGGIO ICONICO DI CELSO MOSQUEIRO; ANTONI SERRA, SCRITTORE, GIORNALISTA E ATTIVISTA CULTURALE

IL PALLIDO AZZURRO DELLA ROSA DI CARTA, IL PRIMO CASO DEL DETECTIVE MOSQUEIRO (1985) TRADOTTO IN ITALIANO

Bibliotheka Edizioni. I Edizione, febbraio 2020. Traduzione di Mónica Del Real González.

SCRITTO PIÙ DI TRENTA ANNI FA, MANTIENE INTATTA LA SUA FRESCHEZZA NARRATIVA, GRAZIE AD UNO STILE COINVOLGENTE E SENZA FRONZOLI

Un travestito viene ritrovato morto in un appartamento nel quartiere cinese di Palma di Maiorca, grazie ad una segnalazione anonima al giornale locale.

Il detective Celso Mosqueiro, indagando sul caso, si troverà in un complotto internazionale dai molteplici segreti, il cui unico indizio di partenza è una piccola rosa di carta di colore azzurro, ritrovata sul luogo del delitto.

Il primo dei cinque romanzi sull’Ispettore Mosqueiro, sebbene scritto più di trenta anni fa, mantiene intatta la sua freschezza narrativa grazie ad uno stile coinvolgente e senza fronzoli.

Un piccolo capolavoro di tensione, macabra ironia e sorprendenti colpi di scena, che farà la gioia di tutti gli amanti del genere noir.

ANTONIO SERRA I BAUÇA (SÓLLER 1936-2023)

L’autore e il creatore del personaggio iconico di Celso Mosqueiro, ed è stato un fedele difensore della cultura catalana.

Antonio Serra è nato a Sóller nel 1936 ed è venuto a mancare pochi mesi fa all’età di 87 anni.

Dopo gli studi in Medicina a Barcellona. Non ha terminato la laurea, ma la sua permanenza nella Ciutat Condal gli ha permesso di immergersi nelle sfere culturali del tempo. Tornato a Maiorca si dedica al giornalismo e alla scrittura.

Nel 1961 entra a far parte della redazione di ULTIMA HORA, giornale in cui ha trascorso tutta la sua carriera giornalistica fino alla sua morte a marzo.

Più di cinquanta le opere pubblicate tra racconti, saggi e biografie. I suoi inizi nel mondo dellla letteratura furono in spagnolo, e si può evidenziare la trilogia Camino hacia la horca (Destinos, 1965; Marius, 19676, e Radiografía 1971).

Dal 1971 sceglie la lingua catalana per la sua attività di scrittore e tra i suoi romanzi ci sono tre tentativi di romanzo sperimentale: La gloriosa mort de Joan Boira (1973), El cap dins el cercle (1979) i Rapsòdia per a una mort de Walpurgis. Altri romanzi in cui la guerra civile sull’isola fa da sfondo sono: Més enllà del mur (1986), Carrer de l’Argenteria 36 (1988) e Llibre de familia (1991).

NEGLI ANNI 80′ DA VITA ALLA SERIE DELL’ISPETTORE MOSQUEIRO, cinque romanzi noir eredi della gloriosa tradizione di Hammett e Chandler.

Il primo già commentato sopra. IL PALLIDO AZZURRO DELLA ROSA DI CARTA (1985).

L’ARCHEOLOGA SORRISE PRIMA DI MORIRE (1986)

ESPURNES DE SANG (1989)

RIP, SENYOR MOSQUEIRO (1989)

CITA A BELGRAD (1992)

ARRIVA LUGLIO ED ARRIVANO LE VACANZE

IL GRUPPO CULTURALE ITALIANO DI MAIORCA VA IN VACANZA, MA PENSA GIÀ NEL PROSSIMO CORSO CHE INIZIERÀ A FINE SETTEMBRE

La professoressa De Grazia va in Italia dopo un anno di molto lavoro e tornerà con un progetto per ampliare il suo curriculum all’Università di Salamanca

ATTENZIONE: COMPITI PER L’ESTATE

VENERDÌ 14 LUGLIO ALLE ORE 19:00 CORSO DI CUCINA ESTIVA

CUCINA FRESCA ITALIANA CON UN TOCCO MAIORCHINO

Sono rimasti pochi posti!!!

LETTURA E CINEMA

Ognuno di noi dovrebbe leggere almeno un libro e guardare un film durante l’estate e poi metteremo in comune nel GdLi

Non dimenticare neanche ITALIANO CON AMORE ed ESTATE ENIGMISTICA

Non è molto lavoro. L’estate è troppo lunga. Forza!!!

UN INASPETTATO E MERAVIGLIOSO REGALO

Due amiche sono appena tornati da una meritata vacanza in Sicilia e hanno portato un libro de cucina «Cucina Siciliana» per il Cuoco del Gruppo Culturale Italiano.

Un regalo interessato e con una doppia intenzione. Il cuoco deve impegnarsi a preparare un corso di cucina siciliana con un piatto tipico come «Pasta con le sarde e finocchietto selvatico».

A settembre parleremo

Buona estate !!!

WORKSHOP CUCINA ESTIVA

VENERDÌ 14 DI LUGLIO ALLE ORE 19:00

CUCINA FRESCA ITALIANA CON UN TOCCO MAIORCHINO

Focaccia di Puglia
Estopeta
Scarpaccia

Pennette al limone

Coca di albicocca

CUCINA FRESCA ITALIANA CON UN TOCCO MAIORCHINO

MENU:

Focaccia di Puglia. Scarpaccia toscana. Estopeta con aringa maiorchina

Pennette al limone e parmigiano

Torta di albicocche

Gelato dello chef

Vini:

Prosecco. Vino bianco e rosso

Liquore fatto in casa

POSTI LIMITATI. MINIMO 10 PERSONE/MASSIMO 15

È OBBLIGATORIO ISCRIVERSI (*)

(*) Costo 30€. CENA COMPRESA.

(*) (gruppoculturaleitalianomaiorca@gmail.com) fino sabato 8 luglio

A LUGLIO, CUCINA ESTIVA

IN PREPARAZIONE: CUCINA FRESCA ITALIANA CON UN TOCCO MAIORCHINO

FOCACCIA DI PUGLIA

COCA DE TRAMPÓ

ESTOPETA CON ARINGA

PENNETTE AL LIMONE

Tante idee da mettere in pratica nel prossimo corso di cucina italiana. Cucina estiva. Questa volta con un tocco di cucina maiorchina, con alcune ricette tipiche come la coca de trampó, la estopeta o la coca d’albercocs.

Sarà nella seconda metà di luglio. Il cuoco si mette al lavoro.

FIRA DE L’ALBERCOC/LA SAGRA DELL’ALBICOCCA

SABATO 10 GIUGNO, LA GRANDE SAGRA DELL’ALBICOCCA DI PORRERES

PROGRAMMA: ALLE 16:30 FINO 22:30

LE ALBICOCCHE: FRAGRANZE ORIENTALI

Ad un tratto tutti volevano l’albicocca. Il dolce frutto, che gli abitanti dell’Europa centrale associavano subito all’assolato sud, conobbe d’improvviso un vero e proprio boom. I maiorchini stessi mangiavano i frutti freschi o essiccati, e li sport avano in Europa anche sotto forma di marmellata oppure di concentrato. Soprattutto gli inglesi, o francesi e gli scandinavi sembravano quasi impazziti per questo frutto solare.

Eppure le albicocche hanno una lunga storia. In Cina erano conosciute già nel III millennio a. C. In tempi antichi, il profumato frutto dell’albero delle rosacee giunse in Europa, e con gli arabi prosegui la sua marcia trionfale fino a Maiorca. Fu proprio da questi che l’albicocca ricevette il nome che ha oggi; infatti gli arabi la chiamavano al barkuk, da cui deriva il termine maiorchino di albercoc; in Spagna, poi, questo frutto ha preso il nome di albaricoque.

Fino al XIX secolo le albicocche non erano esattamente un articolo di massa, questi frutti venivano coltivati su terreno arido e quasi esclusivamente per il consumo personale, non ultimo in considerazione del breve periodo di raccolta e della rapida deperibilità. Dopo che la coltivazione prese piede alla fine del XIX secolo, la produzione di albicocca a Maiorca andò magnificamente. Fino agli anni Settanta del Novecento, le albicocche erano molto apprezzate; però anche ad altri stati venne l’idea di sfruttare questo commercio: ben presto, i frutti aranciati di Maiorca non poterono più reggere alla concorrenza di Marocco, Tunisia e Turchia, che avevano prezzi più bassi. Anche se con un certo dispiacere, negli anni Novanta i maiorchini dovettero distruggere la produzione annua di cinquantamila tonnellate di albicocche, poiché la raccolta, l’imballaggio e il trasporto incidevano troppo sui costi. Per fortuna i maiorchini non videro in questo un motivo per rinunciare a questo frutto tanto versatile, tanto più che esso è un ingrediente di primo piano della cucina maiorchina; nel desert, sotto forma di composta, come coronamento delle tradizionali ensaïmades e come complemento di sostanziosi piatti di carne. O semplicemente solo come “grande orecchie”; con la denominazione di orejón, si vendono a Maiorca delle albicocche secche molto grandi, che vengono dimezzate per il lungo e vengono cosi ad assomigliare a gigantesche orecchie.

A giugno le albicocche vengono colte dall’albero e trasferite in grandi cesti. Eppure Porreres non è esattamente l’ombelico del mondo, però tutto il paesino è una festa. È sa fira di Porreres

Maiorca: Vita e cultura di un’isola