Questa «coca» è tipica di Maiorca e di solito, e normalmente, è fatta in estate, tempo di albicocche, ma può essere fatto tutto l’anno.
TORTA ALLE ALBICOCCHE(*)
1 vasetto di yogurt
bianco
1 misura (vasetto)
d’olio vegetale di girasole
3 uova
2 misure di zucchero
3 misure di farina
setacciata
1 bustina di lievito
setacciata
1 pizzico di sale
Zucchero e cannella
Zucchero a velo
10 albicocche
tagliate a metà e private del nocciolo, fresche o sciroppate (*)
ELABORAZIONE:
Lavorare tutti gli ingredienti liquidi (yogurt, olio e le uova), aggiungete gli altri ingredienti (zucchero, farina setacciata, la bustina di lievito e un pizzico di sale). Sbattere fino a ottenere un composto senza grumi. Versare l’impasto nello stampo, previamente foderato e imburrato. Distribuite i pezzetti di albicocca sopra l’impasto, cinque in linea retta, per quattro. Versare un po’ di zucchero e cannella in ciascuno dei pezzi di albicocca. Infornare a 180º per 30-35 minuti. Lasciate raffreddare 10 minuti prima di setacciare la torta con lo zucchero a velo. Servire pezzi con una metà di albicocca al centro.
(*) A Maiorca viene utilizzata la varietà di “galta roja”.
Buon appetito!!!
Il Cuoco
(*) Questa ricetta è dedicata in particolare a Magda R. Ho potuto convincere il Cuoco a darci una ricetta molto gelosa.
«Più se spende, peggio si mangia» così recita un motto popolare romano, perché la vera cucina romana si riassume in due parole: genuinità e semplicità.
Bucatini all’amatriciana, baccalà con peperoni, rognone in umido, fave con guanciale, ravioli alla romana, carciofi alla giudia sono piatti tipici della cucina della capitale d’Italia.
Oggi parleremmo di carciofi.
Carciofi
in tegame
I
carciofi in tegame o in padella sono molto gustosi e semplici, un
perfetto contorno, adatto ad una cena in famiglia o con gli amici,
sono un perfetto accompagnamento per pesce e carne e si possono
servire sia tiepidi che freddi.
Le
nonne dicevano che fritta era buona anche una suola di scarpa e in
effetti non c’è metodo di cottura più goloso. I carciofi
fritti
però entrano di diritto nella
top ten dei fritti
più buoni:
a fettine oppure a spicchietti, da mangiare bollenti scottandosi le
dita per gola e impazienza. Il loro guscio
croccante
che racchiude il tenero
cuore
di carciofo
li rende irresistibili. Vi abbiamo convinto a provare a farli in
casa?
Carciofi,
farina, olio e sale:
non serve altro per preparare i carciofi fritti e la ricetta è
davvero semplicissima. Dopo aver mondato gli ortaggi – quindi
eliminato il gambo, le foglie esterne e le spine – tagliate i
carciofi a fettine
sottili
e mettetele a bagno in una ciotola con dell’acqua fredda. Se
volete, per evitare che anneriscano, potete usare aggiungere
all’acqua un po’ di succo di limone o
prezzemolo (per questa
ricetta il cuoco preferisce l’erba) .
Prelevate qualche fettina di carciofo (lasciando le altre nell’acqua)
e asciugatele bene prima di passarle nella
farina
e scuoterle in un colino
a maglie grosse
per eliminare l’eccesso. Eseguite questi passaggi per poche fettine
di carciofi alla volta. Scaldate abbondante
olio per friggere
e cuocete le fettine di carciofi per circadue
o tre minuti:dovranno
risultare
dorati e croccanti.
Scolate i carciofi, fateli sgocciolare su carta assorbente, salate e
serviteli caldissimi.
Le
varianti da provare
I carciofi possono essere fritti in un’infinità di modi, come ad esempio in pastella o alla giudia, una ricetta tipica della tradizione ebraica romana in cui il carciofo assume la forma di una sorta di fiore. La ricetta classica dei carciofi fritti in realtà però è la più semplice, sebbene anche in questo caso esista una variante. Senza preparare una pastella, le fettine di carciofo possono essere passate nell’uovo sbattuto, dopo essere state infarinate. Un’altra variante da provare sono i carciofi fritti con il pangrattato al posto della farina. In questo caso il consiglio è di tagliare i carciofi a spicchietti e di sbollentarli prima di passarli nell’uovo e poi nel pangrattato.
Padella
di carciofi e finocchi alle erbe aromatiche
Ingredienti
5
carciofi
1 finocchio
1 aglio o scalogno
1 limone
1
cucchiaino di Erba finocchio
1 cucchiaino di foglie di
Prezzemolo
1 cucchiaino di Maggiorana
olio e.v.o.
sale e pepe
Preparazione
Prepara una bacinella con
acqua fredda, metti il succo di limone ed il limone stesso
nell’acqua. Qui metterai i carciofi lavati per evitare che
anneriscano prima della cottura.
Lava i carciofi togliendo
le foglie esterne, troppo fibrose e dure, fino a quando non arrivi a
quelle più tenere e più chiare. Pulisci anche il gambo ma senza
toglierlo, taglia a metà, lava bene anche all’interno allargando
leggermente le foglie tra di loro e immergi nell’acqua e limone.
Passa a pulire i finocchi.
Per loro non è necessario immergerli nell’acqua e limone ma, come
i carciofi. Tagliali a metà, poi a metà ancora e lava bene dentro.
In una capiente padella
antiaderente metti un filo di olio e fai stufare l’aglio o lo
scalogno.
Affetta finemente i finocchi e alla fine i carciofi
che avrai tolto dall’acqua con il limone e sciacquato rapidamente.
Metti le verdure in padella con le erbe aromatiche, aggiusta di sale e fai cuocere inizialmente con coperchio, per circa 15 minuti, e poi senza per altri 5 minuti.
Il pranzo di Pasqua è una vera tradizione per l’Italia. Ogni regione festeggia a tavola con menu composti da ricette tipiche legate alla ricorrenza.
Per pranzare in modo tradizionale, questi sono i suggerimenti per il menù: ad esempio servire come antipasto un misto di affettati, salumi e formaggi tipici locali affiancati dalle uova sode, divise in due parti. Una bella idea è quella di posizionare sul piatto di portata: uova, fette si salame e di formaggio come a formare dei cerchi concentrici.
Come primo piatto, basterà preparare le tagliatelle con il sugo del cosciotto di agnello cotto al forno con patate e piselli, pietanza che sarà servita come secondo, il sapore della pasta è arricchito da un’abbondante spolverata di pecorino romano. La carne di agnello richiede rigorosamente una buona bottiglia di vino rosso, va benissimo un Chianti, dal profumo intenso e dal sapore asciutto ed armonico, secco e leggermente tannico.
Dolce tipico per eccellenza e simbolo, insieme all’uovo di cioccolato di questa festività, è la Colomba, la cui ricetta originale è legata alla città di Verona dalla fine dell’Ottocento. La Colomba è andata nel tempo a consacrarsi come prodotto Pasquale Nazionale, diventando merce non sono artigianale ma anche industriale. La ricetta più semplice con glassa di nocciole e mandorle si è andata arricchendosi, nel tempo, di varianti rispetto alla ricetta classica.
PASQUA A MAIORCA, TEMPO DI «PANADES E ROBIOLS I CRESPELLS»
A Maiorca anche l’agnello viene mangiato per Pasqua, ma il prodotto che viene consumato in tutte le case sono le tipiche «panades» e «robiols i crespells»
Ogni casa ha la sua ricetta, ma nella mia, di tutta la vita, è così:
Ingredienti per la pasta
1/2 bicchiere di succo di arancia spremuto al momento.
1 bicchiere di strutto
1 bicchiere di latte
1 bicchiere d’olio
2 tuorli
1 kg di farina
Il ripieno tipico è l’agnello, ma può essere anche maiale o piselli. Anche misti.
ROBIOLS I CRESPELLS
Ingredienti per la pasta
1 k di farina
300 g strutto
200 g zucchero
3 tuorli
1 bicchiere d’olio di oliva
1 bicchiere di succo di arancia spremuto al momento
I «robiols»vengono farciti con marmellata di zucca («cabell d’angel»), albicocca, ma anche un formaggio come la ricotta («brossat») si presta benissimo per realizzare queste ottime crostatine.
La Lombardia è stata brutalmente picchiata dal corona virus. È un momento triste per una regione cosi bella. Nel suo onore questo piatto tipico.
Forza e coraggio!!
OSSOBUCO CON RISOTTO(*)
1,2 kg 4 ossibuchi
di vitello
300 g riso Carnaroli
400 g midollo
30 g cipolla
brodo di carne
farina
burro
aglio -prezzemolo
zafferano
limone
vino bianco secco
Grana padano Dop
grattugiato
sale -pepe
ELABORAZIONE:
Incidete i bordi
degli ossibuchi, in modo che non si arriccino in cottura;
infarinateli, poi scrollateli e rosolateli in una padella con 30 g di
burro e uno spicchio di aglio schiacciato con la buccia, che
eliminerete.
Fateli insaporire
per 3-4’ su ciascun lato, poi bagnateli con mezzo bicchiere di
vino, salate e pepate, mettete il coperchio e fate cuocere per circa
un’ora e 10’ bagnando ogni tanto la carne con un poi’ di brodo
caldo. Tritate intanto un bel ciuffo di prezzemolo con mezzo spicchio
di aglio sbucciato e la scorza di un intero limone (gremolada).
Iniziate a preparate
il risotto circa 20’ prima che la carne giunga a cottura: rosolate
la cipolla tritata in una casseruola con il midollo sminuzzato,
tostatevi il riso e sfumatelo con uno spruzzo di vino bianco. Portate
il risotto a cottura, in 16-18’, aggiungendo circa 900g di brodo,
poco per volta, unendo negli ultimi minuti una bustina di zafferano
sciolta in poco brodo.
Aggiungete la gremolada agli ossibuchi a fine cottura. Mantecate il risotto con una noce di burro e 30-40 g di grana grattugiato. Servitelo con gli ossibuchi, completando con il sugo di cottura.
Buon appetito!!
Il Cuoco
(*) ricetta lombarda, tratto dalla rivista La Cucina Italiana.
A. Viviamo in una cultura che ci invita continuamente a raggiungere e accumulare, ma mai a rinunciare. Forse la chiave non è esattamente cosa ottenere, ma è possibile che la soluzione a questa non conformità eterna risieda nel saper adeguarsi. Nel trovare un equilibrio tra entusiasmo per ciò che sogniamo e conformità per apprezzare ciò che abbiamo. Se noi esseri umani abbiamo qualcosa in comune è quel desiderio di stare bene. E quando stiamo bene, vogliamo stare meglio. Non è possibile avere tutto. Ora ogni persona deve definire quali sono le sue priorità, quindi sapere come adeguarsi è essenziale. Negli ultimi decenni, la tecnologia ci ha portato incredibili invenzioni, e abbiamo avanzato più in questa generazione che in tutte quelle precedenti insieme; la velocità con cui cresce è agghiacciante. Il XXI secolo sta affrontando un panorama molto diviso e la sua più grande sfida sarà quella di affrontare il danno collaterale delle nuove tecnologie. Per esempio, è molto preoccupante l’effetto negativo sull’ambiente. Un altro grosso problema è la sicurezza in termini di protezione dei dati: siamo in grado di rinunciare a determinate cose per migliorare il nostro pianeta, la nostra salute e la nostra società?
Ebbene, secondo me dobbiamo essere pratici e non necessariamente rinunciare all’uso di tutte queste nuove tecnologie che semplificano la vita domestica poiché facilitano il lavoro a casa.
B. Molti di noi concordano sul fatto che l’avanzamento delle nuove tecnologie dia un po ‘di vertigine, nonostante il miglioramento che ciò rappresenta per la nostra società, sia a livello professionale che a livello di utente. Questo sentimento di disagio che genera un’evoluzione così vertiginosa, nel senso che perdiamo un po’ di controllo su noi stessi per darlo alle macchine, ci porta necessariamente a pensare se non stiamo dando il nostro consenso molto leggermente a così tante saggezze applicate, e se non ci pentiremo un giorno di aver ceduto così tanto perché oggi le macchine non solo sostituiscono gli uomini nelle loro funzioni professionali, ma lo fanno anche a livello personale.
Con
la sana intenzione di contemplare i
pro
e i
contro
di questi progressi incommensurabili, è mio fervente
desiderio che un giorno saremo
così saggi e maturi con la scienza che potremo
dirigerla e trarne beneficio senza grossi problemi.
Ma, se vogliamo convertire la nostra vita privata in modelli insensati di individualismo e isolamento (sta quasi accadendo) con intrusioni perniciose nella nostra intimità, dobbiamo essere consapevoli che abusando dei benefici di queste tecnologie compromettiamo la nostra dignità e libertà, allo stesso tempo che diventiamo schiavi delle nostre macchine. Dobbiamo essere giudiziosi e non relegare tutto ciò nell’oblio, perché ci sono momenti in cui la realtà supera la finzione.
C. La televisione continua ad essere il mezzo di comunicazione scelto dalla maggior parte della popolazione da condividere con amici o familiari. È un fatto irrefutabile!
La televisione ha tre funzioni: informazione, formazione e svago, ma tutti i canali optano per la terza perché i due terzi dei programmi sono dedicati al puro divertimento: spettacoli, serie, film, concorsi, musical e sport…
Si dice che la TV sia una finestra aperta sul mondo per contemplare la realtà comodamente da casa nostra, ma è conveniente ricordare che la televisione può avere un’influenza positiva o negativa, a seconda di come sia utilizzata ed è bene conoscerne i pro e i contro come in ogni cosa. Va bene guardare la TV di tanto in tanto, ma le ore in eccesso faranno solo male alla mente e alla nostra vita, come in tutte le cose bisogna distinguere tra uso, abuso e uso improprio.
La mia casa è piena di libri e riviste italiane, soprattutto di cucina. Ho iniziato a cucinare per necessità, da molto tempo, e ora lo faccio per piacere. Sono amico del Cuoco e abbiamo pensato che in questi giorni di isolamento, confinati nelle nostre case, potremmo fare un «Grand Tour del Gusto» tra i due di ottime ricette d’Italia.
È difficile scegliere una ricetta per iniziare la sfida, ma qualsiasi percorso se inizia con il primo passo. Siamo in primavera, quindi, inizieremo con una ricetta con prodotti del tempo. L’agnello. Tempo di Pasqua.
Mentre sto facendo questo lavoro, la musica di Gino Paoli mi accompagna.
Buon appetito!!!
COSCIOTTO
DI AGNELLO AL VERMOUTH CON ACCIUGHE, CIPOLLE E PISELLI (*)
Per 4 persone
1 cosciotto di
agnello di circa 1,8 kg
2 spicchi d’aglio
2,5 dl di vermouth
secco
6 cipolle bianche
4 acciughe sott’olio
400 g di piselli
sgranati
olio extravergine
d’oliva
2 o 3 rametti di
menta
sale e pepe
ELABORAZIONE:
Sbucciate l’aglio
e tagliatelo a fettine. Con un coltellino affilato praticante dei
tagli profondi nel cosciotto e inseritevi le fettine d’aglio.
Condite la carne con sale, pepe e un filo d’olio e massaggiatela
bene con le mani, trasferitela in una teglia e infornatela a 220º
per cerca 2o minuti.
Intanto, sbucciate
le cipolle e tagliatele a metà in orizzontale. Bagnate il cosciotto
con metà vermouth e unite le cipolle. Riducete la temperatura del
forno a 180º e cuocete per 15 minuti bagnando il cosciotto col fondo
di cottura.
Versate nella teglia il vermouth rimasto, le acciughe sgocciolate e infornate per altri 20 minuti. Aggiungete i piselli e cuocete ancora per 15 minuti. A fine cottura trasferite il cosciotto su un piatto caldo, copritelo con un foglio di alluminio e fatelo riposare per 10-15minuti. Prima di servire, riscaldate piselli e cipolle unendo qualche foglia di menta e disponeteli attorno al cosciotto.
Ricetta facile
Preparazione 15
minuti
Cottura 1 ora e 10 minuti
Buon appetito!!!
Il cuoco
(*)ricetta abruzzese, tratto dalla rivista Sale&pepe
L’altro giorno leggendo il giornale Ara.cat ho trovato questo interessante articolo firmato da JOAN CALLARISSA, sotto il titolo «Mina, la diva absent», in occasione del suo 80º anniversario.
La prima volta che ho sentito Mina è stato tempo fa, in viaggio di studio in Italia, ha piovuto molto, ma ho seguito ascoltando le sue vecchie canzoni. E alcuni nuovi. La sua voce mi fa ancora sognare. E come dice Callarissa «Millor tancar els ulls, escoltar-la ben fort i confiar que aviat ens podrem tornar a enamorar de la vida».
MINA, LA DIVA ASSENTE
La cantante italiana si è ritirata nella sua torre d’avorio per 40 anni, dal momento che non riesce ancora a trovare locali notturni e da lì può ferire il nostro desiderio.
Amare
senza essere amato e non amato affatto è la cosa peggiore che ti
possa
accadere, la più disperata. Forse è per questo che la dolce assenza
di Mina, innaffiata da nuova musica quasi ogni anno, a volte è anche
molto amara. Perché mentre continua ad innamorarsi, non osa dirti
che non la vedrai
mai più dal vivo. Sono trascorsi 42 anni da quando ci ha piantati.
Per più di quattro decenni, siamo
stati coinvolti in un crudele interregno in attesa di una risposta
come Dio ordina o respinge una volta per tutte.
In questo vicolo cieco è cresciuto il mito di una donna che questa settimana ha 80 anni nella sua prigionia auto imposta. O meglio, imposta dal suo enorme successo, che era inevitabile se avessimo preso in considerazione tutti gli ingredienti che l’artista riunisce: potenza vocale, versatilità, espressività e stile così particolari da renderlo moderno né fuori moda. Cioè è ancora il classico che non ha mai smesso di essere in 60 anni di gare.
Anna
Maria Mazzini,è così che i suoi genitori l’hanno messa al mondo, è
nata in una famiglia borghese in Lombardia a Cremona. Grazie a sua
nonna Amelia, che era una cantante lirica, divenne presto contagiata
dalla musica. Giovanissima
inizia dove
nessuno avrebbe potuto immaginare
che sarebbe
finita, con
una carriera di oltre 1.500 canzoni registrate e milioni di copie
vendute.
In effetti, tutto è iniziato per scherzo, poiché aveva solo 18 anni quando ha cominciato a cantare in modo che i suoi amici smettessero di insistere. L’ha fatto nel leggendario locale La Bussola, a Marina di Pietrasanta in Toscana, quando era ancora giovanissima.È riuscita a imporsi con il colpo di scena della canzone Tintarella di luna e nessuno avrebbe pensato che, col tempo, questo sarebbe stato un semplice aneddoto.
Nel 1960 pubblicò il disco indimenticabile “Il paradiso in una strofa” – la famosa canzone omonima, per esempio, da una scena di Goodfellas di Martin Scorsese – con cui partecipò al Festival di Sanremo, dove fece ritorno l’anno successivo, quando cantava “Le mille bolle blu”. La follia aveva iniziato la sua strada e non era rimasto nulla per il salto al trampolino finale, il piccolo schermo, dove apparve nel 1958 interpretando “Nessuno come nessun altro”. La RAI in bianco e nero conquistò il cuore degli italiani attraverso la passione e il romanticismo, i due approcci all’amore che toccò meglio.
Ma
mentre continuava a registrare programmi televisivi e ad incidere
dischi che schiantavano i suoi avversari, la sua vita personale si
interpose tra lei e la sua carriera meteorica, trasformandola in una
notte nella cantante con più successo e nel simbolo di un’epoca.
Senza essere sposata nel 1963 rimase incinta dell’attore Corrado Pani
che, a differenza di lei era sposato. Ma la colpevole era Mina, che
fu condannata per ostracismo dalla RAI, che la costrinse a lavorare
in Germania per mantenere suo figlio, Massimiliano. Due anni di
lettere di cittadini alla televisione pubblica la riportarono
indietro, attraverso la porta grande.
Se prima aveva avuto successo, ora era un avvenimento sociale. Ha continuato ad avere successi come Città vuota (È un solitario) (1965), Un anno d’amore (1965), Se telefonando (1966) o Un colpo al cuore (1968) e il pubblico la adorava anche fuori dal suo paese, dal momento che non è tornato né davanti agli inglesi, né agli spagnoli o ai portoghesi – ottima la sua versione dell’Aguas di Março di Jobim. Ha anche cantato con grandi come Lucio Battisti o il suo caro amico Adriano Celentano. Ma una delle esibizioni più popolari è stata con Alberto Lupo, con il quale ha cantato “Parole, parole”. Era già il 1972 e quella dichiarazione di una donna che prendeva a calci il galante era la base più intima di una Mina.
Senza
abbandonare sue gonne corte, le sopracciglia, le ciglia XL o il
trucco drammatico, tutto sembrava in ordine, fino a quando senza
preavviso – né il direttore né il suo tecnico del suono, dicono –
nell’agosto 1978 è scomparsa dal palcoscenico, dai mass-media e
dalla vita pubblica fino ad oggi. Stava scappando da un paese che le
aveva dato tutto, ma non le aveva permesso di vivere. Era stata
circondata da paparazzi e polemiche per vent’anni. Inoltre, nel 1971
ha avuto un’altra figlia, Benedetta, dal giornalista Virgilio Crocco.
Un addio che non poteva essere discreto
Ma
anche l’addio sarebbe stato controverso. Erano trascorsi 15 anni
dalla prima punizione, ma Mina era ancora troppo avanti. Nello stesso
1978, ha pubblicato “Ancora, ancora, ancora”, un tema
indispensabile della sua carriera con un video. La RAI, tuttavia, ha
considerato la clip troppo sensuale ed ha evitato di trasmetterla a
schermo intero, suddividendola in piccoli video, che ritrasmettevano
l’intero video. La clip mostra solo il suo canto in primo piano, la
lucentezza delle labbra e un’illuminazione color rame. Tuttavia, il
suo magnetismo era così grande che la censura lo consideró
violento. Bastava ridicolizzarlo ancora una volta e renderlo di nuovo
indissolubile nella recente storia popolare del paese.
Con
il suo brusco addio, sembra che Mina non vedesse l’ora di comportarsi
come Pepa Flores e scomparire del tutto. Ma amava la musica, e ciò
che questa donna discreta ma libera non poteva sopportare era il
giudizio del pubblico. Da Lugano (dove vive dal 1966) ha continuato a
produrre musica. Sono passati quasi 40 anni dal disco dell’anno.
L’ultimo è del 2019 e il penultimo “Paradiso” del 2018, in cui
rivede i suoi successi con Battisti. Grazie, destino, per esserti
unita a loro!
Gli ultimi album all’avanguardia pieni di «boleros», bossa nova, jazz o persino musica sacra, ci hanno consolato della sua assenza. Ha collaborato con artisti di tutto il mondo desiderosi di cantare con lei.La cosa che ce la fa sentire più vicina è uno stream del 2001 durante la registrazione di un album dal vivo in studio – Oggi sono io su YouTube, per favore – che ha ricevuto 15 milioni di hit alla volta. .
Si può dire che Mina è presente o assente? Abbiamo l’amara speranza che torni o un dolce addio pieno di novità? Domande a cui non abbiamo potuto rispondere. Ma in tempi di così tanta incertezza, potrebbe essere meglio non farsi tante domande. Meglio chiudere gli occhi, ascoltarla e sperare che presto potremo innamorarci di nuovo della vita.
(*) Traduzione di Cecilia de Grazia
MINA, LA DIVA ABSENT
ARA.cat/ Joan Callarissa
80è aniversari
Mina, la diva absent
La cantant italiana fa 40 anys que viu retirada a la seva torre
d’ivori suïssa, des d’on encara treu discos i des d’on
perpetua el nostre enyor
Estimar sense que et diguin ni que també t’estimen ni que no
t’estimen gens és el pitjor que et pot passar, el més
desesperant. Potser per això la dolça absència de Mina,
regada amb música nova pràcticament cada any, a vegades també
resulta molt amarga. Perquè mentre segueix enamorant-te no
s’atreveix a dir-te que no la veuràs mai més en directe. Des que
ens va plantar ja han passat 42 anys. Més de quatre dècades
palplantats en un cruel interregne esperant ser correspostos com Déu
mana o rebutjats d’una vegada per totes.
En aquest impàs hem fet gran el mite d’una dona que aquesta
setmana ha fet 80 anys instal·lada en el seu captiveri autoimposat.
O més ben dit, imposat pel seu enorme èxit, que era inevitable si
tenim en compte tots els ingredients que reuneix l’artista:
potència vocal, versatilitat i una expressivitat i un estil tan
particulars que han fet que ara com ara no sigui moderna ni tampoc
estigui passada de moda. És a dir, que segueix sent el clàssic que
mai ha deixat de ser en 60 anys de carrera.
Anna Maria Mazzini, que és com li van posar els seus pares, va
néixer en una família burgesa de la Llombardia instal·lada a
Cremona. Gràcies a la seva àvia Amelia, que era
cantant lírica, aviat es va contagiar d’amor per la música. Uns
inicis innocents que ningú s’hauria imaginat mai que acabarien en
una carrera de 1.500 cançons enregistrades i milions de còpies
venudes.
De fet, tot va començar mig en broma, ja que només tenia 18 anys quan es va posar a cantar perquè els seus amics deixessin d’insistir-hi. Ho va fer tan bé -al ja mític local La Bussola, del poble toscà de Marina di Pietrasanta- que al cap de res ja era una icona juvenil. Triomfava amb el twist gràcies a la cançó Tintarella di luna i ningú pressentia que allò, amb el temps, quedaria en una simple anècdota.
El 1960 va treure
l’inesborrable disc Il cielo en una stanza –la
famosa
cançó homònima forma part, per exemple, d’una escena de la
pel·lícula Goodfellas,
de Martin Scorsese– després d’haver passat pel Festival de
Sanremo i abans de tornar-hi l’any següent, quan hi va cantar Le
mille bolle blu. Començava la bogeria al carrer i li quedava
res per al trampolí final, la petita pantalla, on ja havia aparegut
el 1958 interpretant com ningú Nessuno. A la RAI en blanc i
negre es va guanyar el cor dels italians a còpia de passió i
romanticisme, les dues aproximacions a l’amor que millor ha tocat.
Però mentre no parava de gravar gales televisives i discos que
feien pols les seves adversàries, la seva vida personal es va
interposar entre ella i la seva meteòrica carrera, cosa que la va
convertir de la nit al dia en més que una cantant d’èxit: en el
símbol d’una època. Sense estar-hi casada, el 1963 es va quedar
embarassada de l’actor Corrado Pani, que a
diferència d’ella sí que estava casat. Però qui ho va pagar va
ser Mina, que va ser condemnada a l’ostracisme per la RAI, que la
va abocar a anar a treballar a Alemanya per poder mantenir el seu
fill, Massimiliano. Dos anys de cartes de ciutadans
a la cadena pública van aconseguir que tornés. Evidentment, per la
porta gran.
Si abans havia tingut èxit, ara tota ella ja era un esdeveniment social. Va seguir traient hits com Città vuota (It’s a lonely yown) (1965), Un anno d’amore (1965), Se telefonando (1966) o Un colpo al cuore (1968) i el públic l’adorava. També fora del seu país, ja que no es feia enrere ni davant l’anglès ni tampoc del castellà o del portuguès -genial la seva versió de l’ Aguas de Março de Jobim, per cert-. També va cantar de la mà de grans com Lucio Battisti o el seu íntim amic Adriano Celentano. Però una de les actuacions més populars la va dur a terme amb Alberto Lupo, amb qui va cantar el Parole, parole. Era ja el 1972 i aquella declaració d’intencions d’una dona fent patir el galant eren les bases més internes d’una Mina a la qual havien castigat però que no es penedia de res.
Sense abandonar les faldilles curtes, les celles depilades, les
pestanyes XL ni el seu maquillatge dramàtic, tot semblava en ordre
fins que sense avisar -ni al mànager ni al seu tècnic de so, diuen-
l’agost del 1978 va desaparèixer dels escenaris, dels mitjans i de
la vida pública. I fins avui. S’esfumava d’un país que l’hi
havia donat tot però que no l’havia deixat viure. Portava vint
anys envoltada de paparazzis i de polèmica. A més, el 1971 havia
tingut una altra filla, Benedetta, del periodista
Virgilio Crocco.
Un adeu que no va poder ser discret
Però l’adeu també seria polèmic. Havien passat 15 anys del
primer càstig, però Mina seguia anant massa avançada. Aquell
mateix 1978 va editar Ancora, ancora, ancora, un tema
imprescindible de la seva carrera. Per ell mateix i pel seu
videoclip. La RAI, però, va considerar el clip massa sensual i va
evitar difondre’l a pantalla completa i la va dividir en moltes
petites pantalles, en les quals s’emetia l’original. Al clip
només hi surt ella cantant en primer pla, gloss als llavis
i una il·luminació en tons coure. No obstant això, és tant el seu
magnetisme que als censors els resultava violent. Prou per tornar a
fer el ridícul i convertir-la altre cop en part indissoluble de la
història popular recent del país.
Amb el seu brusc comiat, podria semblar que Mina estaria desitjant
fer com Pepa Flores i desaparèixer del tot. Però
ella estimava la música, el que no podia suportar més aquella dona
discreta però lliure era el judici públic. Des de Lugano (on viu
des del 1966) no ha deixat de produir música. Ha estat gairebé 40
anys anant a disc per any. L’últim és del 2019, i el penúltim,
Paradiso, del 2018, en què repassa els seus èxits amb
Battisti. Gràcies, destí, per ajuntar-los!
D’àlbums de portades avantguardistes farcits de boleros, bossa
nova, jazz o fins i tot música sacra, és del que ens ha
proveït des de la seva absència. També de col·laboracions amb
artistes d’arreu del món que malden per cantar amb ella. Això és
amb el que hem hagut de passar. El més similar a sentir-la que hem
tingut és un streaming el 2001 mentre gravava un àlbum en
directe a l’estudi -busqueu Oggi sono io a YouTube,
sisplau- que va fer caure el servidor amb 15 milions de peticions
d’accés alhora.
Amb tot, ¿podem dir
que Mina està present o està absent? ¿Patim l’amarga esperança
que torni o un dolç comiat farcit de novetats? Preguntes que no
aconseguim respondre’ns. Però en temps de tantes incerteses,
potser millor deixar de fer-se tantes preguntes. Millor tancar els
ulls, escoltar-la ben fort i confiar que aviat ens podrem tornar a
enamorar de la vida.